Alessandro Papò - Letizia Marini - Gianluca CitiNella prima pubblicazione del Gruppo Archeosub Labronico sulle scoperte di Calafuria («Un relitto etrusco tra i rinvenimenti di Calafuria», G.A.L., Livorno, 2005), parlammo di alcune mazzere con queste testuali parole introduttive: «Ai limiti verso il mare aperto del giacimento, sono state rinvenute 2 pietre molto caratteristiche, tipologicamente identiche a parecchie altre; tutte di arenaria, scaglionate ai piedi delle cigliate per centinaia di metri nella direzione di Calafuria-Livorno, al di fuori del giacimento». Ora possiamo precisare che le «parecchie altre» pietre sono 4 più, probabilmente, chissà quante altre, sempre al di fuori del sito.Tutte queste pietre - come scrivemmo - «hanno la precisa forma e la grandezza di una focaccia, con una doppia scanalatura incrociata (per avvolgere e legarvi una corda), un diametro di circa cm. 20 e un peso medio di kg. 13,200. Come s’è detto, si presentano allineate e addossate ai piedi dei gradoni, a parecchi metri l’una dall’altra (30-70), alla discreta profondità media di m. 32,4 (uno o due esemplari a circa -m. 40)». Pensammo allora che fossero delle mazzere probabilmente da rete da posta fissa, ruzzolate ai piedi delle cigliate ed ivi rimaste a causa delle forti correnti sottomarine della Punta del Miglio. Oggi, però, siamo in grado di aggiungere due precisazioni talmente importanti da indurre a una diversa e più plausibile valutazione d’uso: 1) - Proprio come in una focaccia o, ancor meglio, in una comune rosetta di pane, la doppia scanalatura incrociata occupa solo una faccia, quella convessa. L’altra faccia, invece, si presenta pressoché piatta e senza scanalature (fig.1). Fig. 1 - Le due facce delle mazzere.2) - Tutte le pareti dei gradoni ai cui piedi esse giacciono, compresi anfratti e grotte, sono coralligene, ovvero sede di insediamenti di un bel corallo rosso (corallium rubrum), ben nutrito, di grana compatta, di grandezza mediopiccola, disposto in banchi cosiddetti latini, cioè estesi e fitti (fig. 2).Fig. 2 - Corallium rubrum di Calafuria.Così stando le cose e considerando, in particolare, che le mazzere giacevano precisamente e invariabilmente ai piedi delle pareti coralligene, non si può non pensare che esse possano aver avuto un ruolo nella pesca del corallo di questa zona.NOTE SULLA PESCA DEL CORALLODalla preistoria all’epoca classica il corallo fu semplicemente raccolto sulla battigia, se spiaggiato dalle mareggiate, oppure nelle comuni reti da pesca, se incidentalmente impigliato nelle stesse. Non si può tuttavia escludere che potesse essere anche direttamente divelto e raccolto da tuffatori specializzati, se i banchi erano poco profondi. In epoca romana, sappiamo da Plinio (N. H. XXXII, 21-24) e da altre fonti, che veniva appositamente strappato da reti (evelli retibus) o reciso da pescatori in apnea mediante un ferro acuminato (aut acri ferramento praecidi). Se i pescatori di corallo erano urinatores (corporazione di sommozzatori professionisti romani), potevano essere raggiunte anche apprezzabili profondità (20-25 metri). Ignoriamo quale sistema di pesca sia stato eventualmente utilizzato per oltre mezzo millennio dalla fine dell’impero romano. In un momento imprecisato del Medio Evo, probabilmente nel corso o al termine dell’espansione islamica nel Mediterraneo, si cominciò a usare, per la pesca più profonda e intensiva del corallo, uno strumento, forse di matrice araba, che sarebbe stato utilizzato, con diverse varianti, sin quasi ai nostri giorni: l’ingegno a croce di S. Andrea. Questa croce era costituita da 2 travi di legno incrociate, più o meno lunghe, dotate all’incrocio di una zavorra, prima litica e successivamente plumbea, e sostenuto da una robusta fune di collegamento con una imbarcazione. Alle estremità delle travi erano fissati dei pezzi di rete (retazze) pendenti a fiocco, a sacco o liberamente, anche per 7-8 metri. Con opportune manovre dall’alto, l’attrezzo, fatto strusciare lungo le rocce, spezzava (demoliva) per urto i rami di corallo che restavano impigliati (solo per un terzo!) negli spezzoni di rete. Esistevano, come s’è detto, parecchie varianti, a seconda dell’epoca, del settore, della flottiglia di corallari, delle caratteristiche morfologiche del fondale e del banco: a croce variabile, a croce greca, a croce di Lorena, con asse lungo, con zavorre e reti anche lungo i bracci, a travi corte o lunghe (anche diversi metri), e dunque ingegni piccoli e grandi, manovrati da pochi o tanti pescatori, a mano o verricello, su imbarcazioni piccole o grandi, dalla famosa barca (ribattezzata Jules Verne) del VI sec. a. C. del porto antico di Marsiglia (Massalia) alle moderne e ben equipaggiate coralline italiane. Nel Rinascimento comparve, affiancandosi alla croce, un tipo diverso d’ingegno, che avrebbe avuto una fortuna più limitata nel tempo (qualche secolo) e nello spazio (soprattutto Provenza e Spagna): la Salabra. Era una trave di legno zavorrata alle cui estremità era fissato un anello dentato di ferro che faceva da bocca a un cestello di rete ed era manovrata da un’imbarcazione mediante 2 funi, legate poco prima delle estremità, con modo basculante. Utile particolarmente per «grattare» le pareti rocciose e frastagliate e l’ingresso delle rocce.Molto più recente e soprattutto più utile per la pesca sistematica del corallo alle maggiori profondità, l’ingegno o barra italiana. Era una barra di legno (e poi di metallo) lunga diversi metri, zavorrata da spezzoni di catene pendenti per tutta la lunghezza, intervallati a spezzoni di rete. Questo ingegno, come al solito, trainato da un’imbarcazione, strusciava pesantemente sui fondali, demoliva per urto i coralli che rimanevano in parte impigliati nelle reti.I sistemi demolitivi testè descritti sono stati proibiti per legge e, in tempi più recenti, la pesca del corallo è stata effettuata in modo manuale e mirato da palombari e, infine, da sommozzatori professionisti, con un’adatta piccozza. Sulle pietre «a quincunce», come componente d’ingegno per la pesca del corallo, confutata dal G.A.L., si è già detto. CONCLUSIONITenuto in debito conto quanto s’è detto, ma soprattutto considerato ancora una volta che queste mazzere sono state rinvenute invariabilmente ai piedi e più o meno a ridosso di pareti coralligene, possiamo ipotizzare con buon fondamento che siano state le zavorre centrali di ingegni a croce perduti nel corso della pesca del corallo rosso di Calafuria. Con il tempo, le travi di legno e le corde si sarebbero ovviamente disfatte, rimanendo le mazzere come unico elemento non deperibile del sistema. Una ricostruzione è riportata nella fig. 3: vi si può notare come la faccia piatta della mazzera poggi sulle travi di legno, precisamente all’incrocio, e le scanalature della faccia convessa alloggino una fune che lega strettamente la mazzera alla croce. Nella ricostruzione si può notare anche un anello di sospensione. Il fatto che non se ne sia invero trovato neppure uno (ma non è stata sinora eseguita una ricerca mirata), forse perché ancora non usati, e il dato che tali mazzere sono di pietra non particolarmente adatta per resistenza (arenaria), portano ad ipotizzare che quegli ingegni fossero relativamente antichi, forse medievali. Le mazzere, come tutti gli altri reperti di Calafuria, sono stati denunciati e consegnati al Museo Archeologico di Rosignano Marittimo.Fig. 3 - Ricostruzione d’ingegno a croce zavorrato con mazzera.MAZZERE D’«INGEGNO» IN CALAFURIAIn the first publication of the Guppo Archeosub Labronico about the discoveries of Calafuria ("Etruscan ruins among the archeological finds of Calafuria", G.A.L., Livorno, 2005), we spoke of some mazzere (sandstone rocks) with these introductory words: "At the limits of the deposit towards the open sea, two very characteristic stones have been found, typologically identical to several others; all of sandstone, spread over the foot of the embankment for hundreds of meters in the direction of Calafuria-Leghorn, beyond the edge of the deposit". Now we can say that the "several other" stones are actually 4 more of, who knows how many others, still beyond the site. All of those stones - we wrote - "have the same shape and size as a white pizza, with one double intercrossed groove (in order to keep a cord wound tight), a diameter of approximately 20 cm. and an average weight of 13,200 kg. As was stated, they are aligned and propped against the base of the terraces, several meters from one an other (30-70), at the quite remarkable average depth of 32.4 m. (one or two of them at approximately 40 m.) ". We thought then that they might be mazzere used for a fixed fishing net, which had tumbled to the base of the embankment and there remained due to the strong underwater currents of the Punta del Miglio. Today, however, we are able to add two clarifications which are so important as to get to a different and more reasonable evaluation of their use: 1) - Just as in a white pizza or, better yet in a common bread roll, the double intercrossing groove is situated only on one side, the convex one. The other side, instead, appears almost flat and devoid of rabbets (fig. 1). Fig. 1 - The two sides of the mazzere.2) - All the walls of the terraces against the bases of which they are propped, including the gorges and caves, are covered in coral, that is, they are sites of beautiful red coral (corallium rubrum) deposits, well-nourished, of a compact grain, of a small-to-medium size, set in the so called “Latin” mounds , known for being dense and extensive (fig. 2). Fig. 2 - Corallium rubrum of Calafuria.This being the way things are and considering, in particular, that the mazzere lay precisely and invariably at the base of the coral-covered walls, it is unthinkable that they had a role in the coral fishing in this area. NOTES ON CORAL FISHING From prehistory to the classic age coral was simply collected from the shoreline, when beached by sea storms, or in common fishing nets, when accidentally entangled in them. It cannot, however, be excluded that it might have been also directly ripped out and collected by specialized divers, where the banks were not very deep. In the Roman times, we know from Pliny (N. H. XXXII, 21-24) and other sources, that it was purposely torn from nets (evelli retibus) or cut by breath holding fishermen with a spiky iron (aut acres ferramento praecidi). If the coral fishermen were urinatores (corporation of professional Roman skin-divers), they were able to reach remarkable depths (20-25 meters). We do not know which fishing method was eventually used for more than half a millennium from the end of the Roman Empire. In an unspecified moment of the Middle Ages, probably in the course of or at the end of the Muslim expansion in the Mediterranean, an instrument was begun to be used, perhaps of Arabic origin, for deeper and intensive coral fishing, which was probably would have been used, in different varieties, up to almost to day: the ingenuous tool in the shape of St. Andrew’s cross. This cross was made of 2 intersecting beams of wood, of different length , equipped at the intersection with a counterweight, first of stone and later of lead, and supported by a sturdy cord connected to a boat. At the ends of the beams, pieces of net (retazze) were tied, hanging bow-like, sack-like or freely, even up to 7- 8 meters long. With proper maneuvers from above, the tool, made to slide along the rocks, broke (demolished) the coral branches by running into them and entangling them (for a third!) in the net pieces. As has been said, several variations existed, according to the age, the sector, the fleet of coral-fishing boats, the morphologic characteristics of the seabed and of the bank: from variable crosses, Greek cross, the Lorena cross, with a long axis, counterweights and nets also along the arms, short or long beams (also several meters long), and therefore small or big ingenuous tools, operated by few or many fishermen, by hand or winch, on small or large boats, from the famous boat (renamed Jules Verne) of the 6th century B.C. from the ancient port of Marseilles (Massalia), to the modern well-equipped Italian coral-fishing boats. In the Renaissance, beside the cross a different type of ingenuous tool appeared, the Salabra ,but it world be less lucky in time (a few centuries) and place (above all Provence and Spain) . It was a beam of ballasted wood at the ends of which they fixed a jagged iron ring that ached as an entrance to a small net basket and was operated from another boar by means of 2 ropes, tied just before the ends, in a balancing way. It was particularly useful to "scratch" the rough rocky walls and the furrows of the cliffs. Much more recent and, most of all, more useful for systematic coral fishing at greater depths was the ingenuous tool or barra italiana (Italian bar). It was a beam of wood (later of metal) several meters long counterweighted all along its length, by pieces of hanging chains which alternated with net fragments. This ingenuous tool, usually towed by a boat, slid heavily along the seabed, breaking off the coral that got entangled in the nets. The demolition methods described above have been forbidden by law and, in more recent times, coral fishing has been carried out by divers in a manual and focused way and, in the end by , professional skin-divers, with an appropriate axe. As to quincuncial stones, as components of ingenious tools for coral fishing, disproved by the G.A.L., they have already been dealt. CONCLUSIONSKeeping in mind what has been said, but above all considering once again that these mazzere have always been found at the base and more or less close to the coral-covered walls, we can assume with good foundation that they were the center ballasts of ingenuous cross tools lost while fishing for the red coral of Calafuria. In time, the wood beams and ropes obviously were destroyed, the mazzere remaining as the only non-perishable elements of the method. A reconstruction is shown in fig. 3: you can note how the flat side of the mazzera lies on the wood beams, exactly at their intersection, and the grooves of the convex side lodge a cord that ties the mazzera tightly to the cross. In the reconstruction a suspension ring can also be noticed. The fact that actually not even one has been found (but a focused search has not, been made so far), perhaps because it was not still used, and since such mazzere are made of a stone not particularly suitable as it is not durable (sandstone), leads us to assume that those ingenuous tools were relatively antique, perhaps medieval. The Mazzere, as all the other archaeological finds of Calafuria, have been reported and delivered to the Archaeological Museum of Rosignano Marittimo. Fig. 3 - Reconstruction of an ingenuous cross tool ballasted with a mazzera.