GLI ETRUSCHI E IL MARE :«THALASSOKRÁTORES»?Riproduzione della scena di battaglia tra una nave greca e una etrusca, munita di rostro, dipinta sul cratere ceretano di Aristonothos (VII sec. a. C.).Gli etruschi (tirreni o, meglio ancora, rasenna, come chiamavano se stessi) si distinsero per l’operosità, la voglia di vivere bene, per l’efficiente attività estrattiva dei metalli di cui erano ricche le loro colline, per le risorse agricole e per l’artigianato, da quello più comune (oggetti d’uso quotidiano) al più fine e pregiato (buccheri, bronzi ecc.). Furono però il mare e le attività ad esso connesse, specie il commercio transmarino, che contribuirono in modo sensibile allo sviluppo e alla grandezza della loro civiltà. La vocazione degli etruschi per il mare sembra risalire alle loro stesse origini, se stiamo alla vecchia teoria di Erodoto che li vorrebbe giunti in massa via mare dalla lontana Lidia. Tale vocazione risulterebbe peraltro antichissima anche in caso di autoctonia, perché cominciò ad appalesarsi già in ambito ed epoca villanoviani. Il commercio marittimo dei rasenna nel Mediterraneo occidentale fu floridissimo nell’età arcaica e riuscì a battere senza eccessive difficoltà la concorrenza dei greci, magnogreci, foceomassalioti, fenici e feniciopunici nel VII e VI sec. a. C., sino al primo quarto del V sec. a. C.. A volte difesero o imposero i propri interessi con le armi. Le fonti greche, ad esempio, parlano spesso di rapide incursioni di «pirati etruschi»(1) nelle acque di Lipari e della Sicilia(2) già ai tempi delle primissime colonie e proprio a quegli scontri sembra riferirsi la scena di battaglia navale tra un vascello greco e uno appunto etrusco, munito di un temibile rostro, dipinto dal famoso pittore ellenico Aristonothos su un cratere ceretano del VII sec. a. C. Nel 540 a. C., sempre per difendere i propri interessi e mantenere libere e tranquille le proprie rotte commerciali, aiutati da una flotta cartaginese(3), gli etruschi sconfissero i greci focesi che si erano insediati in Corsica, nella grande battaglia navale di Alalia, detta anche del Mare Sardo. In questo scontro i focesi combatterono accanitamente, distruggendo parecchio naviglio nemico, ma dovettero soccombere alle superiori forze etrusco-puniche che avevano schierato complessivamente 120 navi da guerra contro circa 60 navi focesi, rostrate e potenti, ma non tutte da guerra. Riproduzione di una scena di battaglia dipinta su un vaso etrusco del VI sec. a. C., ora al British Museum.Dionigi d’Alicarnasso decanta comunque l’esperienza marinara e lagrande potenza navale dei rasenna e li definisce thalassokràtores ovvero «dominatori del mare» (Ant. Rom. I, 11). Tale talassocrazia, nella tradizione storica greca, era fatta risalire ad epoca remotissima, sino a confondersi con il mito, come testimonia l’episodio appunto mitico del dio del vino Dioniso, rapito da insolenti «pirati» etruschi che finiscono, però, per essere trasformati in delfini (Inno omerico «a Dioniso»). Altri racconti mitologici, sempre greci, attribuiscono agli etruschi, naturalmente «pirati», il furto del simulacro di Hera nell’isola di Samo (Ateneo XV, 12), il ratto delle donne di Braurone in Attica (Plutarco) e – massima provocazione della talassocrazia rasenna – persino il saccheggio e la distruzione di Atene e altri fatti e misfatti. È chiaro che questo continuo riferirsi dell’antica letteratura greca agli etruschi come spavaldi e feroci filibustieri non può nascere dal nulla ma, anzi, tradisce un sentimento di ammirazione/paura/allerta largamente diffuso tra i greci dell’età arcaica, specie nel momento dell’espansione ellenica in Italia, nei confronti di una marineria etrusca già molto esperta e attiva sia nel mare che diciamo Tirreno che oltre. Anche Tito Livio, più volte nelle sue Storie, fa risalire ai tempi mitici la potenza marittima etrusca. M. T. Cicerone, nel De re publica (II, 9), ne ricorda peraltro le doti di abili marinai-commercianti. Plinio il Vecchio, in Nat.Hist. VII, 57, 209, riferisce che fu un etrusco di Pisa ad inventare quella tremenda arma navale che fu il rostro («Rostra addidit PisaeusTyrreni»). Strabone, infine, descrive in Geogr. V le attività di pesca praticate dagli etruschi sia nelle acque dolci che nel mare, dove erano bravissimi a catturare i tonni ai passi delle proprie coste. Sin dagli inizi del VI sec. a. C. (il «secolo d’oro» dei rasenna) è archeologicamente attestato un diffuso affermarsi dei prodotti etruschi (soprattutto vino, ma anche vasellame potorio, buccheri, ceramica etrusco/corinzia, oggetti pregiati come fibule bronzee e gioielli d’oro spesso caratteristicamente granulato, metalli in lingotti, semenze, alimenti ecc.) in diversi mercati, anche discretamente lontani: nella Gallia meridionale (Massalia, Agathè Tyche e molti oppida), in tutta la costa iberica (Emporion, Hemeroscopéion, Cadice, Huelva), in Corsica (Aleria), in Sardegna (Tharros, Nora, Bitia), in Campania (Pontecagnano, Cuma ecc.), in Sicilia (Camarina, Megara, Himera, Lipari ecc.), ma anche a Cartagine, Atene, Corinto, Rodi, Cipro ecc. (4) . Le numerose anfore e vari altri prodotti etruschi rinvenuti non solo in queste zone costiere, ma anche nei rispettivi entroterra, sino a ragguardevoli distanze dal mare, testimoniano in modo evidente, oltre il notevole successo dei prodotti stessi, anche una fitta rete di traffici gestita soprattutto da Cerveteri, Vulci e Pisa, città tutte produttrici di anfore da trasporto, oggetti d’artigianato e beni di prestigio e, particolarmente le prime due, anche di ottimo vino, molto apprezzato dalle genti celtoliguri e celtiberiche, vino di cui abbiamo avuto recentemente occasione di parlare in una conferenza del Gruppo Archeosub Labronico nel Palazzo dei Priori di Volterra, con Atti in italiano e inglese pubblicati in questo stesso sito («Vini etruschi e anfore di Calafuria»). I mercantili che percorrevano la «via del vino» (cioè la rotta per il trasporto del vino e altre mercanzie nella Gallia meridionale e oltre), pertanto, partivano generalmente da Pyrgi (uno dei tre porti di Cerveteri) o Regisvilla (porto di Vulci) o magari da un porto campano (Pontecagnano) e salivano lungo la costa tirrenica navigando, almeno nei tempi più antichi, nella buona stagione, di giorno e di cabotaggio, seguendo a vista, cioè, i punti di riferimento costieri. (5)Potevano fare scalo a Populonia, a Pisa (passando necessariamente per Calafuria) o nell’emporio di Genova, gestito da una colonia etrusca. Superato il grande golfo ligure, proseguivano per gli attuali Cap d’Antibes, Pointe du Dattier, isole di Hyères e Presqu’ile de Giens sino a Marsiglia, Agde e oltre(6) . La rotta in questione prevedeva anche una possibile ma rischiosa scorciatoia d’altura con una traversata in mare aperto dalla Corsica settentrionale.Siti di rinvenimento di anfore etrusche e indicazione delle principali rotte commerciali. Con lievi modifiche, da Archeologia Viva 2001, 86, 30.Etruria intraprendente, prospera e gaudente, a quei tempi: esportava isuoi bei prodotti per mezzo Mediterraneo e importava beni in oro, stagno, avorio, ceramiche raffinate, uova di struzzo, conchiglie decorate, tessuti pregiati, pece per tutti gli usi, resine, cera, unguenti, pigmenti, miele, salse, salamoie, molluschi e altre leccornie, ma, specialmente dal mondo greco, anche idee, mode, culti, arte e artisti. Ma questa floridezza non sarebbe durata molto a lungo. Una discreta serie di avversità congiunte, infatti, già descritte nel nostro «Un relitto etrusco tra i rinvenimenti di Calafuria» (G.A.L., Livorno, 2005), tra cui, soprattutto, l’avvento della potenza e prepotenza egemonica di Siracusa, posero drasticamente fine nel V sec. a. C. alla cosiddetta talassocrazia dei rasenna e ad ogni attività ad essa connessa. Precisamente nel 474 a. C. gli antichi «dominatori del mare» vennero severamente sconfitti a Cuma da una flotta di Gerone di Siracusa, fratello di quel Gelone che appena sei anni prima aveva battuto a Imera i cartaginesi, buoni alleati degli stessi etruschi. La vittoria siracusana rovesciò i poteri e gli equilibri di tutto il settore, ebbe una notevole risonanza in tutto il mondo greco e fu persino cantata con grande enfasi da Pindaro nella prima delle Odi Pitiche. La vittoria dei siracusani fu paragonata dal poeta alle grandi e circa contemporanee vittorie della madrepatria ellenica sui persiani: quelle di Salamina e di Platea. Gli etruschi, oltretutto, rimasero soli e lo schiacciante predominio siracusano fu ribadito con due brutali spedizioni nel cuore stesso dell’Etruria marittima, nel 453 a. C. (ammiraglio Apelle) e nel 384 a. C. (tiranno Dionigi in persona) con blocchi navali e danni ingentissimi, praticamente irreparabili. Fu persino distrutta Pyrgi con il suo famoso santuario, molto frequentato da tutte le genti di mare, e sacrilegamente saccheggiato l’ingente tesoro della Leucothea, protettrice dei marinai. L’Etruria sul mare perse quasi tutte le sue navi, tutti i suoi commerci marittimi, il prestigio e il benessere d’un tempo e le maggiori libertà. Non si sarebbe mai più risollevata. Anche le città dell’entroterra soffrirono tremendamente di questa situazione (oltre che dell’invasione dei celti a nord e dei sanniti a sud) e si sarebbero progressivamente ridotte a modesti staterelli in attesa di essere completamente assorbiti dall’emergente egemonia di Roma. Alessandro Papò e Gruppo Archeosub Labronico Il dott. Alessandro Papò in una recente conferenza archeologica, tenuta per il Gruppo Archeosub Labronico, nella Sala del Maggior Consiglio del Palazzo dei Priori di Volterra. NOTE(1) In epoca arcaica il termine «pirata» non aveva una connotazione negativa. Lapirateria, anzi, rientrava in un codice di comportamento positivo ed era spesso praticata da navarchi aristocratici che attaccavano al modo corsaro solo navigli nemici o comunque stranieri. Questa interpretazione viene già offerta nel V sec. a. C. da Tucidide in Storia della guerra delPeloponneso. Lo storico puntualizza che, secoli prima, la pirateria era stata appunto una lecita fonte di guadagno.(2) Lipari e tutte le isole Eolie avevano un’importanza strategica eccezionaleperché consentivano di controllare direttamente lo Stretto di Messina e pertanto tutte le rotte brevi per la Grecia e il Mediterraneo orientale e viceversa. Con veloci incursioni corsare, gli etruschi le contesero, in tempi diversi, a liparoti, cnidii, rodii, siracusani e altri. Di tali incursioni si è conservato il ricordo in una epigrafe mutila in latino dell’Area Sacra del Tempio della Regina a Tarquinia. Vi si legge l’elogio di Velthur Spurinna che per primo avrebbe guidato una vittoriosa spedizione in Sicilia.(3) Con i cartaginesi gli etruschi mantennero sempre rapporti di buon vicinato epatti chiari ben rispettati. Tali buoni rapporti sono documentati, oltre che da azioni militari in comune o combinate, anche dalla reciproca concessione di libertà di scalo (in alcuni casi, però, manifestamente a favore dei cartaginesi, a ben leggere i documenti). Dalle famose Lamine d’oro di Pyrgi, inoltre, veniamo a sapere che circa nel 500 a. C. o pochissimo dopo, Thefarie Velianas «re» (o tiranno) di Caere (Cerveteri) dedicò un sacello nel santuario di Pyrgi alla dea fenicia Astarte, molto venerata dai cartaginesi e identificata con l’etrusca Uni.(4) Nell’ambito di questi intensi traffici nei due sensi (da e per l’Etruria), nacquerodegli scali d’appoggio in territorio etrusco in concessione agli stranieri, come Gravisca (porto di Tarquinia frequentato dai greci), Punicum (uno dei tre porti di Cerveteri, frequentato dai cartaginesi), Pyrgi (porto libero di Cerveteri con piena libertà di accesso al santuario). Esistevano d’altronde anche scali etruschi con basi emporiche fuori Etruria, come, ad esempio, Genova in territorio celtoligure, Aleria in Corsica e così via.(5) Gli etruschi, come gli altri popoli contemporanei, non possedevano strumenti dinavigazione. A quanto pare, inoltre, non erano neanche espertissimi osservatori di stelle. Erano pertanto obbligati al cabotaggio.(6) Nelle località citate sono stati rinvenuti relitti e reperti etruschi. Il primo relittostorico, quello di Antibes, del VI sec. a. C., fu scoperto nel 1955 e trasportava anfore del tipo Py3A e 3B, vasi di bucchero e ceramica etrusco-corinzia. L’ultimo è il Grand Ribaud F di Presqu’ile de Giens (Tolone), del 510-500 a. C., scoperto pochi anni fa e tuttora in studio, e trasportava anfore Py4 (il bel carico di anfore scoperto dal G.A.L. a Calafuria è composto da Py4A), bacini di bronzo e ceramiche pregiate.